Llengua i cultura a l'Alguer durant el segle XVIII: Bartomeu Simon/APÈNDIX 5
[Càller, 2 de març de 1810. Font: AG, llig. 701bis. "Lettera confidenziale al cavaliere N.N. d'Alghero, trasmettendogli la canzone seguente"]
Carissimo amico:
Dopo d'un secolo vengo a rinnovarvi qualche atto della mia vera amicizia. Non vi meravigliate se prima d'ora non abbia accusato l'elegantissima vostra lettera de' 29 precorso agosto. Ben sapete che la testa mia è un mulino sconcertato ed il giumento che lo strascina, oltre d'essere già vecchio, è pure per mal nudrito troppo magro. Finché può egli mantenersi in piedi non lascia di macinare anche a colpi di bastone. Quando poi la debolezza gli toglie la forza nervosa, perde la machina l'equilibrio e, resosi impotente, si sdraia al letamme della stalla.
Povera bestia! Che potrà far allora inferma, mal pasciuta e senza un pietoso maniscalco che s'interessi pel suo sollievo e guarigione? Postrata in quel letto animalesco si volta e rivolta or di qua or di là: cerca se sia possibile una men sensibile positura ove gli si rendan men crudeli i suoi dolori: si abbandona alla providenza. Lascia che operi la sola natura. Soffre senza strepito i suoi malori ed uniformasi all'importuna vigilanza di chi l'attende.
Presentasigli con poca grazia un po' di fieno mal condizionato per nudrimento, adocchia con un profondo sospiro quel insipido pascolo. Fissa lo sguardo allo stizicoso parafreniere e col muto parlare gli vuol dire: "Per che così poca cura d'un povero giumento civilizato?" Ma che serve il lamento d'una bestia quando è bestia maggiore chi l'attende e governa?
Riflette quindi l'infelice animale alla sua sfortunata situazione. Non gli manca instinto per capire che sono queste d'ordinario le metamorfosi delle bestie passagiere cadute in mani di padroni stranieri e poco curanti. Sa per isperienza che anche cavalli di buona razza diventano ronzini, e si adattano al basto, benché avezzi ad una sella ben badata. Fa finalmente, come suol dirsi, della necessità virtù ed incoraggito delle sue speranze, che ne' casi estremmi sogliono essere le ultime a perdersi, si uniforma al tempo, al luogo ed alle circostanze e tracanna, benché con nausea, quel mal preparato cibo onde conservar almeno il resto della vitalità.
Infatti, ch'il crederebbe? Questo stolido animale, benché oppresso dal morbo e dagli affanni da cui è circondato, sa trovare un qualche lenitivo a tanti suoi patimenti e disavventure.
Egli ormai, sprezzando la sua perduta e mal curata sanità, la vechiaia che l'insulta e minaccia, i malori che lo tormentano e distruggono e lo scarso e nauseante cibo che l'irrita e provoca, sfida la natura per resistere a tanto abbattimento ed infortunio, e tutto alieno di sé stesso, prescinde de' rigori della stalla, trova il letamme in cui è sdraiato un buon letto di piume, credesi felice perché troppo molestato e tutto tranquillo perché in continua agitazione. Si appiglia all'ultimo rimedio, proprio di moribondi suoi simili, di nitrire e zampicare, esercitandosi come un delirante al Canto col nitrito, e per rimanerne una memoria lo sanziona colle zampe.
Ecco, mio caro, che senz'accorgermene, trasportato in un pazzo entusiasmo, vi ho fatto un abbozzo animalesco di tutto l'occorrente ne' soliti miei accessi della gotta, e particolarmente nell'ultimo sovraggiuntomi al ginocchio sinistro nel precitato agosto.
Trovandomi dunque in detto mese (appunto per memorarmi l'anniversario di 75 anni che andavo a compiere nel giorno 24) gettato in un mal acconcio letticiolo, oppresso dalle solite fatiche, conturbato da pungentissimi pensieri, circondato dalle urgenze pecuniarie (che sono il più spietato bastone con cui domasi l'umanità), scompaginata la machina corporea ed attacato da dolorosissima gonagra, cosa fare -dicea fra me stesso- in sì miserabile stato e malinconia di spirito? Mi sovvene per avventura d'essermi pervenuto poco prima un famoso Canto Canonicale ridotto in sesta lira, fornito d'ammirabile tessitura e collimati pensieri, onde condolersi colla dama a cui andava diretto per l'assenza del marito, confortandola nelle di lei afflizioni.
Prendo a legger un sì degno Canto e tosto trasportandomi ad un delirio pazzo (giacché la poesia non va disgiunta dalla pazzia), mi risolvo di risponder al signor canonico a nome della dama coll'istesso metro, bencé in linguaggio materno, poco fertile e molto scabroso per il verso. Mi riuscì ad intervalli la risoluzione che può dirsi capricciosa e fuor di stagione, tanto più nelle mie poco liete circostanze.
Ne tentai altresì la traduzione in ispagnuolo, che forse comparirà meno insipida e noiosa, ma questa la riservo ad altro tempo. E per ora basterà per annoiarvi di troppo l'originale algarese, che qui acchiuso con quello del predetto signor canonico in lingua sarda vi trasmetto.
Accetatene l'offerta, mentre sub suis auspiciis mi sono risoluto a dargli corso, accioché a tempo di Carnevale vi prendiate la pena di leggerlo in buona e fida società, presiedendo la dama rispondente, e fattevene delle risate in odium authoris, e tanto basta.
Se poi, fatte le dovute censure, volete lasciarla a potere del canonico mio figlio, mi farete piacere. Vi sovvenga qualche volta che sono e sarò perpetuamente col maggior attaccamento,
Cagliari, 2 marzo 1810.
N.N.